
vasco brondi
La prima cosa a cui ho pensato per questo disco era al futuro. Una parola che comincia ad avere quasi una connotazione negativa per quanto si parla di questi come di tempi sbagliati. Si dice che il futuro non c’è, che non arriverà. Invece questo disco è pieno di futuro e di lampi che segnalano un qualche assurdo lieto fine. Il futuro è più vicino di prima, il futuro è tra due minuti, tra due ore, il futuro è stasera. “La situazione è eccellente.” Ho pensato che in questo clima di crisi e di lamentele avrei voluto una lunghissima festa senza senso. Un disco da mettere per ballare sotto le bombe, un disco da suonare durante la guerra.
Ho ripensato alle luci della centrale elettrica, a quelle luci che andavamo a vedere da ragazzini come una cosa spettacolare, come un fuoco d’artificio in periferia. Come le uniche stelle che si vedevano nel cielo del posto dove sono cresciuto. Ho pensato a quando trovavamo stupende delle cose che non dovevano esserlo. Le luci della centrale elettrica come una costellazione, ogni canzone una stella collegata alle altre da un disegno insensato, a fare luce su questi tempi. L’unico modo di non avere paura del buio è entrarci dentro e portarsi l’accendino e illuminare tutto.
Le prime canzoni sono cominciate ad arrivare in file sparse nel lungo inverno del 2012, rurali e spaziali. Canzoni dalla pianura padana lanciate verso la galassia, storie piccole ma che si vedono anche dalla luna. Strumenti organici e strumenti elettronici vicini, canzoni al pianoforte in cui si può pogare e canzoni velocissime e distorte da ascoltare ad occhi chiusi prima di addormentarsi. Fisarmoniche e casse dritte, fiati e chitarre elettriche, orchestrine e beat elettronici. Come se ci fosse un rave in una balera, come se ci fosse una balera a Berlino. Il disco è pieno di città straniere e pieno della mia solita città di provincia. Pieno di illusioni e di storie che finiscono male, che finiscono bene o che non finiscono mai.
È un disco condiviso, fatto con Fede in due in una stanza tra Milano e Ferrara e continuato separatamente ognuno con la sua chitarra e il suo computer e spedendosi dei file dalle città più improbabili e poi ritrovarsi ed essere sempre di più. E avvertire con uno strano sospiro di sollievo l’inizio della fine della gioventù, avere la strana impressione che sia sempre stata sopravvalutata. E allora fare delle canzoni che funzionino come i sospiri di sollievo, scrivere delle canzoni liberatorie. A volte iniziavano con una cosa che mi scrivevo in fretta sul telefono o su un foglietto, a volte una sensazione, una frase che senza nessun motivo resta impressa. Ma partivo sempre dalla musica, da un’armonia, una disarmonia, una ritmica. Prima di scrivere le parole la parte musicale mi diceva che clima c’era in quella storia, il sole o le nuvole, i palazzi o le colline o tutte e due ma non è mai così organizzata la cosa, è sempre un casino di slanci, di ripensamenti, di lacrime e letterali salti di gioia. Alla fine ci sono delle storie che anche se prima non erano vere adesso lo sono diventate. Tanti elementi che latenti c’erano già nelle canzoni che avevo scritto nei due dischi precedenti ma è stato come allargare la visuale, usare più colori, riconoscere tutti i sentimenti allegri e disperati. Un telegiornale poetico, l’intimo e l’universale, le cose che c’entrano e le cose che non c’entrano. Guerre vere e guerre immaginarie. Ho pensato di ambientare tutto in un bar sulla Via Lattea. Un posto immaginario e iperreale. Con strani personaggi e con persone qualsiasi. Storie di gente che parte, di gente che resta, di cose che non cambiano mai che all’improvviso cambiano completamente. Un posto in cui anche le rondini si fermano il meno possibile, un posto in cui tutto sembra indimenticabile.
VASCO BRONDI

le luci della centrale elettrica vasco brondi
COSTELLAZIONI il nuovo disco dal 04.03.2014